Storia di una tigre e di una cassiera

Frank non ama aggirarsi per il centro della sua città: c’è troppa confusione, troppi che si radunano in postazioni di passaggi chiave, a tal punto che si deve prestare attenzione non solo ai pedoni, ma anche a coloro che sfrecciano coi monopattini o con quelle biciclette truccate che sembrano motorini mal riusciti. Ma non basta: ciò che lo infastidisce maggiormente sono coloro che, ormai non più solo adolescenti o giovani, ma anche baby boomers, camminano leggendo dal telefonino, come una volta si sarebbe fatto con un giornale, e non prestano la minima attenzione al marciapiede o alla strada che stanno percorrendo. Il peggio sono i trentenni ( coppia) con passeggino: sono capaci di spingerlo con una mano, mentre con l’ altra tengono il telefonino: persi in chissà quale fascinazione, si muovono in silenzio, accanto al- alla partner, a sua volta distratto/a, totalmente incuranti di come stiano procedendo, pericolosamente un passodopo l’ altro. Una giungla.

Tuttavia, a volte, lo deve fare e si avventura nell’ unico supermercato esistente in pieno centro, in quella via che porta direttamente dalla Piazza principale… giù giù, fino al ponte; gli capita raramente e sempre quando non ha più bottiglie d’acqua nel frigo, proprio come è capitato qualche lunedì fa. Entrato nei locali del supermercato, pensava che sarebbe stato veloce uscirne: sa infatti dove sono gli scaffali dell’ acqua, aveva deciso che avrebbe preso 2 confezioni di corsa e…boom sarebbe stato fuori in un nano secondo. E invece…lo aspettava una lunga coda. Non poteva far altro che mettersi in fila e sopportare il disagio. Non aveva scelto una delle tre file basandosi su dati tecnico matematici, come il numero delle persone, la loro età, la quantità di articoli da registrare, la bravura e la velocità dell’ addetta alla cassa. Si era fermato davanti a quella postazione solo per comodità.

Finalmente, è il suo turno: solleva le due confezioni di acqua naturale da sei bottiglie, le colloca sul rullo e saluta: a questo punto succede l’ impensabile. La cassiera lo guarda, come se lo conoscesse, ma invece di dirgli frasi come…” ha bisogno di sacchetti, o ha la tessera o appoggi pure la carta sul monitor,…”, recita : ” Tyger, tyger burning brighi in the forests of the night…” Frank rimane folgorato, quasi inebetito. Gli altri della fila, dietro a lui sono in silenzio, stupiti…non hanno capito che stia succedendo o è successo. Frank guarda la cassiera intensamente: la fissa, scruta i dettagli di quel viso da cinquantenne …e chiede …” è stata una mia alunna?…”. La cassiera sorride è spiega: …no, non io, ma mia figlia…l’ ho vista e mi è venuta in mente la poesia di W. Blake ( Tyger) …mi è sempre piaciuta questa poesia, mi piacciono i poeti romantici, come W. Wordsworth…fin dai tempi del liceo, a Palermo…”

Frank la guarda con ammirazione e le sorride, poi le promette: …allora, ogniqualvolta verrò a prendere l’ acqua e la vedrò, faremo una supermicrolezione di letteratura inglese e le parlerò dei poeti romantici. Promesso…” La cassiera, a sua volta, sorride, annuisce e ringrazia. Frank sta per raccogliere le due confezioni di acqua naturale, ha già pagato e ritirato lo scontrino. Ci ha messo pochi minuti, solo espansi grazie alla piacevole e inaspettata conversazione. Sorride alla gentile signora un’ ultima volta, sta per muovere il primo passo per lasciare la postazione quando, dalla fila, qualcuno dice …e noi?…riferendosi al possibile appuntamento culturale, rimandato alla prossima spesa dell’ acqua. Frank ride, questa volta, con una battuta, rassicura che li avviserà, saluta ed esce dal supermercato.

Mentre, lentamente, col carico di acqua naturale, cammina verso casa, si accorge che sta ancora sorridendo…intanto pensa alla stranezza degli incontri: da oggi in poi, andare in quel supermercato non sarà più la stessa cosa. Immodestamente, paragona la sua professione a quella di un sacerdote: anche se non celebri più la messa, anche se non sei in chiesa, anche se non indossi i paramenti, sei sempre un sacerdote. E, come per il sacerdote, a suo tempo, ha fatto una scelta per vocazione.

Storia di una sciarpa

cari amici e amiche , cari studenti e studentesse, care famiglie e cari sconosciuti e sconosciute, Frank oggi vi racconterà una storia, la storia di una sciarpa.

Qualche venerdì fa, uno sconosciuto, o una sconosciuta, ha deciso di ” portar via” dall’ aula studio- dove Frank vive le ore dette “buche”, lontano dagli schiamazzi dei corridoi, zona macchinette e aula professori, una sciarpa. Era sua quella sciarpa di seta, di produzione British. Siccome arrabbiarsi non sarebbe servito, siccome fare una lettera- denuncia non sarebbe servito, lui ha pensato di scrivere una lettera che facesse riflettere. L’ ha poi appesa in sala professori e in aula studio. Ecco il contenuto:

Car* sconosciut* che hai deciso di portar via, dal’ Aula Studio, un oggetto che non ti apparteneva, ti prego, trattato bene, tratta bene quella sciarpa, stile inglese, ma acquistata a Milano, in un negozio del centro, che vendeva articoli classici della mia patria d’ elezione ( nonostante quel “de” tradisca il mio ” accento interno”, tutto meridionale ).

Non conoscevo quel pezzo di U.K. nell’ unica città metropolitana degna di questo nome in Italia: era una location nota alla buona borghesia milanese, di decine di anni fa. E, proprio là, decine di anni fa, i miei ” alunni interni” ( si diceva così nel secolo mio) della 5A del liceo scientifico San Francesco ( loro portavano la divisa, elegante, senza essere snob: calzoni blu, golf blu, camicia bianca o azzurra e niente scarpe da ginnastica, ma scarpe ” da barca”, di modissima, allora…) mi avevano comperato quella sciarpa da gentiluomo di campagna- magari non proprio in sintonia con la mia età di allora ( ero quasi loro coetaneo) . Lo avevano fatto per simpatia e non con un secondo fine. Non ne avevano bisogno.

L’ ho usata e riusata, fatta lavare e rifatta lavare decine di volte, fino a quando, alle due estremità, aveva cominciato a tradire la sua vera età. La scorsa estate l’ avevo fatta restaurare. E ho cominciato a rimetterla.

Venerdì è scomparsa. Non tornerà più, lo so…ma tu, chiunque tu sia, trattala bene, perché, in quei fili, ci sono le tracce di 15 vite di diciottenni, che non ho più rivisto, con sole due o tre eccezioni. Trattala bene, per loro. E per me.

Ecco questa è la cronaca di quanto accaduto. Frank l’ ha riproposta qui, come momento di riflessione: c’è sempre una sciarpa, ci sono sempre i fili di una sciarpa che annodano insieme la vita di un professore con quella dei suoi studenti. E, a volte, anche dei loro genitori.

E, dopo la riflessione, gli auguri: Buon Natale a tutta la comunità del corso D. Se non avete mai letto ” A Christmas Carol” di Dickens è arrivato il momento. Per i più pigri , ci sono anche film. Per i più bimbi, vedete il cartone animato.

High School e mobilità studentesca.

Tra settembre e ottobre, Frank ha tenuto due incontri con genitori e studenti interessati a seguire un programma scolastico all’ estero, da tre mesi a un anno.

La presenza media è stata di 25 genitori e studenti: un vero successo, secondo Frank, che crede fermamente in questi programmi ” outbound”, come in quelli “inbound”, cioè quando siamo noi ( lodigiani) ad ospitare foreign students. Frank è stato accompagnato, nel primo incontro, da un suo studente del 5 anno, Manuel, simpatico, intelligente, curioso, ma anche narciso, come solo un diciottenne sa essere, e da un altro studente Pietro che, come Sofia ( figlia di Francesca) hanno passato – due ani fa- un percorso cultural-linguistic-formativo in Irlanda.

Dopo aver precisato che ci sono tre possibilità di adesione al programma [ e cioè la tipologia Exchange, quella Select e quella Boarding] , Frank ha lasciato la parola all’assemblea. Le idee erano confuse e quindi Frank ha pensato di fare qui un riassunto per loro, ma anche per tutti coloro che fossero interessati a queste proposte e che capitano qui, sul blog.

Innanzitutto, Frank ha spiegato che ” spende di più chi chiede di più ” , cosi: nell’ Exchange classico, la High School è pubblica e la sistemazione è presso una famiglia volontaria; non si può scegliere la località dove andare e neppure la scuola, mentre sono le famiglie ospitanti che decidono autonomamente quale studente accogliere, sulla base del suo dossier personale. Al contrario, nel Select lo studente sceglie la High School ( pubblica o privata) a cui candidarsi o il Distretto scolastico, tenendo conto dell’ offerta accademica e formativa loro propria.

I parents si sono anche domandati il perché di una tale scelta: il perché è semplice, secondo Frank. Frank è sicuro perché: 1. prima si esce da una condizione provinciale, meglio è, 2. é un’ esperienza formativa che coinvolge la propria futura preparazione accademica, 3. perfeziona le competenze linguistiche acquisite a scuola, 4. perché permette di accrescere le possibilità di accedere alle università più prestigiose, 5. perché questa esperienza potrà essere spesa anche a livello professionale, in un futuro.

Tutto qui?, o c’è anche una motivazione squisitamente caratteriale, umana, più privata? La risposta ovviamente è sì, perché è un’ esperienza che favorisce una vera crescita personale e culturale, perché accresce sensibilmente l’ autonomia, insegna ad organizzarsi e ad utilizzare al meglio le proprie potenzialità e risorse, perché permette di approfondire le proprie competenze, sviluppandone altre. E ancora, possiamo dire che è una sfida perché ci costringe ad allontanarci dalla famiglia e dagli amici, per affrontare novità, non sempre prevedibili.

Quando uno/a student torna, cosa avrà sicuramente migliorato? : avrà migliorato le proprie capacità comunicative, avrà imparato le strategie per superare le proprie difficoltà, avrà potenziato il proprio pensiero critico, magari si sarà formato ( in nuce) un futuro leader ( per gli appassionati di inglese: Problem Solving- Critical Thinking e Leadership). Da old teacher, Frank ricorda quanto sia cambiato il mondo professionale, in cui si richiedono continui upgrade, upskillimg e reskilling, per reinventarsi.

Quando funziona il programma di studio all’ estero? Frank pensa che questo processo possa avvenire solo se i tre attori principali, cioè studente, famiglia ospitante e la nuova scuola si sentano veramente legati da un filo rosso, che li porti a comprendersi, accettarsi, aiutarsi e crescere: per tutte e tre queste componenti c’è un prima e un dopo, e quel prima sarà quasi totalmente modificato dal dopo. É un’ orchestra che suona al’ unisono, creando un’ armonia che, al rientro, sarà ascoltata anche da parenti e amici, che assisteranno ad una diversa rappresentazione del sé, da parte dello studente-amico- figlio/a.

E il sistema scolastico del nuovo paese? Ciò che è veramente essenziale sapere è : all’ estero, di norma, la ” scuola superiore” non ha indirizzi; tutti gli studenti devono frequentare corsi obbligatori di alcune discipline, aggiungendo al proprio curriculum scolastico altre discipline facoltative di suo gradimento. Inoltre, bisogna sapere che alcune discipline insegnate in Italia non ci sono proprio nella High School ( ad esempio: filosofia, latino e storia), mentre altre sono, come capita in Italia, focalizzate sulla storia e la cultura nazionale ( storia e letteratura anglo americana, ad esempio). Al tempo stesso, la rosa di discipline che si possono affrontare per la prima volta sono molte, come fotografia, musica, teatro, ceramica, pittura…; la norma è che il numero di discipline da inserire nel proprio curriculum è 6 ( in casi eccezionali 7), mentre i corsi possono essere annuali o semestrali ( funziona un pó come per le nostre università).

Veniamo ora alla suddivisione dell’ anno: in genere, si compone di 4 Terms, o 2 Semesters; lo studente italiano verrà inserito o al livello 11, o al 12, secondo quanto stabilirà il Principal della scuola, verificando i risultati scolastici e le competenze linguistiche, tenendo – ovviamente- conto dell’ età dello studente, nonché del regolamento di ciascun distretto scolastico. È importante sottolineare che, nella scelta delle materie, lo studente è sempre assistito da un Tutor, il quale potrà avvalersi anche dei consigli suggeriti dai professori italiani; i contatti periodici sono sempre auspicabili, da ambo le parti, per un efficace lavoro di verifica e supporto. Talvolta, almeno per quanto riguarda agli studenti che vogliono provare l’Exchange con gli USA, viene data la possibilità di ottenere il diploma di Graduation che, sebbene sia poco spendibile in Italia, può servire per un’ ammissione privilegiata in quelle università nazionali che propongono percorsi di laurea in inglese, ma sarà certamente un ottimo biglietto da visita per il mondo del lavoro; è opportuno chiarire che l’ ammissione al 12° Grade dipende unicamente dalle valutazioni del Preside americano. Tutti gli attori in gioco, secondo quanto contenuto nelle disposizioni ministeriali, dovrebbero facilitare, il più possibile, il reinserimento dello studente nell’ istituto italiano. Il consiglio di classe poi riconoscerà e valuterà le competenze acquisite, dallo studente, durante l’ esperienza, considerandola sempre nella sua globalità: tale valutazione permette – infine- di definire il credito scolastico, nell’ ambito delle bande di oscillazione previste dalla normativa vigente.

E ora due parole sulla famiglia: il senso del soggiorno è, prima di tutto, di diventare parte integrante della famiglia, per sentirsi ” a casa propria”. È dunque estremamente importante che le famiglie siano rigorosamente selezionate, per una sicurezza dell* student* : per questo motivo il partner straniero verifica che le famiglie soddisfino criteri e protocolli rigidissimi per essere accettate. Ovviamente, tutti devono avere chiaro che non esiste la famiglia ideale, perché ogni famiglia, nazionale o non, è una famiglia reale, come le persone, coi suoi/ loro difetti e i suoi/ loro limiti. Chi entra in una nuova famiglia deve tener sempre conto che quel nucleo ha già un suo provato equilibrio, per cui, all’ inizio, si dovranno capirne le dinamiche. Sarà uno sforzo, a volte importante, perché significa per chi è nuovo, adeguarsi a una nuova cornice culturale, lasciando dietro di sé la propria. Il compito della famiglia ospitante sarà quello di comprendere e supportare quello sforzo.

E ora, un ringraziamento speciale a Francesca, che ha raccontato la sua esperienza di mamma chioccia e iper protettiva con grande semplicità e persino candore: la forza del racconto é stata l’ intelligenza e onestà con cui Francesca ha osservato, compreso e accettato che il mondo di Sofia si fosse trasformato da quello di una ragazzina molto legata alla dimensione della quotidianità, a quello di una giovane studentessa internazionale con ambizioni e visione del mondo non più e non solo locale.

A Pietro e a Sofia, Frank augura un avvenire accademico di successo come è stato il loro ultimo anno al liceo, e una crescita umana e culturale come quella che lui, per primo ha riscontrato.

[ se avere bisogno di Frank, per accompagnarvi in questo percorso, sapete come e dove trovarlo]

Incontri e confidenze

Sabato Frank ha incontrato una sua studentessa d’ altri tempi, quando era un professorino alle prime armi, al Collegio San Francesco, la sua prima casa da insegnante. Lei è stata non solo una brava e talentuosa studentessa, ma anche la mamma di un suo alunno, maturato questa estate. Lui ( P.) è intelligente, simpatico, con una faccia di quelle che ispirano subito alla confidenza e… a far casino, anche se con eleganza e buon gusto; P. é anche un grande osservatore dei difetti umani, in particolare delle debolezze e delle idiosincrasie dei professori; nel corso dei passati cinque anni, P. li ha studiati e poi imitati, ricevendo applausi e richieste di bis, come un vero cabarettista, un vero cabarettista della vita a 18 anni. Non è cosa da poco.

Dunque, finita la maturità, o l’ esame di stato, come si chiama ora, si sono sentiti ( C. e Frank), via whatsap, per fissare un incontro, dopo molti, anzi moltissimi anni; Frank ama il breakfast molto più del lunch e del dinner, perché meno formale e decisamente più intimo; cosi, quando tiene veramente a qualcuno, fissa un incontro per fare colazione insieme, ancora meglio se presto o prestissimo, magari nel silenzio della piazza principale del borgo, magnificamente accogliente tra le 8 e le 9 a.m. , densa di rumori antichi che il traffico umano “del show off”, con inizio alle 10 a.m., fa scomparire irrimediabilmente.

I due friends hanno parlato tanto del bimbo, del lavoro di insegnante e di quello di genitori, entrambi difficili, a volte difficilissimi: mentre C. parlava, Frank ha rivisto la sua alunna adolescente, quella ragazza rigida e severa con sé stessa, prima che con gli altri ( proprio come Frank… due puritani, insomma) , sebbene fosse ( e sia) profondamente dolce e timida; in lei, Frank ha rivisto uno spicchio della sua famiglia ( Frank è stato professore di quasi tutti i grandi children ( come C.) della casata e di qualche piccolo ( come P.); così tanti ed ognuno così completamente diverso dagli altri. È stata un’ ora abbondante di ritorno al loro passato comune e di fuga verso il futuro delle generazioni a venire, proprio parlando del giovane P., studente universitario da qualche settimana.

Mentre parlavano, Frank è stato chiamato e salutato con affetto da Antonella, un’ altra alunna del Collegio, che non vedeva da qualche anno. Si sono scambiati i numeri di cellulare e hanno promesso che faranno colazione insieme; è poi passato Ricky, ex alunno ed ex aiutante dei viaggi estivi all’ estero con gli students. E gli incontri non sono finiti li: nel negozio dell’ Erbolario, Frank ha incontrato Roberto e compagna, che è stata presentata a chi, un tempo, faceva studiare con severità la lingua di Elizabeth II Regina ( leggere la parola in inglese, please) a un giovane di talento ; subito dopo, mentre stava dirigendosi verso via Incoronata, per andare a casa, Frank ha notato un folto gruppo di persone sul sagrato della Cattedrale. Ha affrettato il passo, per non trovarsi in mezzo a quell’ ingorgo umano ma, ad un tratto, ha sentito una voce che diceva, più o meno, …” posso salutare quel prof che sicuramente non mi riconoscerà…” Sarà parzialmente vero perché Frank lo ha riconosciuto, ma non ne ha ricordato il nome. In 10 minuti, Mr. X gli ha raccontato che vive a Bath, che è sposato a un’ inglese, che ha prole e che è lì perché si è sposato un suo caro amico; che viaggia tra England e USA e che il suo inglese ora è fluente ( fa anche alcune considerazioni sulla madre patria, che Fank tralascia) . Improvvisamente, un altro giovane invitato ha richiamato Mr. X all’ordine: gli sposi stavano per uscire e loro, gli amici, dovevano preparare la macchina della wife e dell’ husband (sicuramente con qualche sorpresa). Si sono abbracciati e salutati, come vecchi amici. Frank era ormai in ritardo, doveva correre alla Coop a fare la spesa: qui, tra un ” percorso ” e l’ altro, ha incontrato un suo ex alunno, ora dipendente, che lo ha salutato e gli ha augurato” buon weekend”; più in là, Frank ha quasi urtato una signora, che lo ha sorpassato e che poi si é fermata …e anche Frank si è fermato…si sono riconosciuti. Era una sua ex alunna, che gli ha presentato le due figlie, raccontato cosa stiano studiando, che la maggiore ha passato una quindicina di giorni in U.K. e – infine- ha virato su un piccolo ricordo- aneddoto di quegli anni, da studentessa. Ormai Frank è arrivato alle casse: ha messo la merce sul ” tappeto rotante” e si stava preparando per il suo turno, quando, divertito, ha notato un suo ex alunno L. con figlia, messa dentro al carrello; L. la stava facendo giocare e la bimba si stava divertendo molto. Frank ha osservato allora quanta complicità ci fosse tra quel giovane papà e la sua bimba ; ora anche lui ha visto Frank, si è avvicinato, lo ha salutato, raccontato della nascita della sua seconda figlia e di sua sorella G. , anche lei giovane mamma. Frank era contento di venire a sapere che sia la famiglia ristretta, sia quella allargata, che Frank conosce, stiano bene. Si sono salutati e Frank ha proceduto con il pagamento.

Quanti incontri del passato e quanti saluti oggi, ha pensato. Era contento della mattinata, del passato che era tornato presente, di aver visto i suoi ex studenti e le sue ex studentesse, ora grandi, alcuni molto grandi; dietro ognuno di loro infatti c’è una storia condivisa; dietro ognuno di loro sono archiviati ricordi che solo con Frank possono condividere.

Se Frank potesse mettere in sequenza tutti i ricordi di tutti/ tutte i suoi/ le sue alunni/ alunne, ne verrebbero fuori almeno tre tomi, come nella Divina Commedia, sebbene, in questo libro, non ci sarebbe nessun inferno, ma solo il purgatorio, per coloro che non hanno ancora capito il valore del tempo e del ricordo e il paradiso, per coloro che possono dire che hanno vissuto, che hanno conosciuto e si sono fatti conoscere.

Prima di spegnere la luce, finita la lunga giornata, Frank ha ricordato cosa il collega Andrea ( che, decenni or sono, Frank ha sostituito nella sua seconda Casa, dopo il Collegio e un periodo nella grande metropoli – ma questa è un’ altra storia) scriveva sul quotidiano locale: riferendosi al suo lavoro, dopo essersi ritirato, più e più volte, lo aveva definito …” il mestiere più bello del mondo…”, almeno per loro due è stato così.

Viva Malpensa!

Se andate a NY, ricordate che l’ aeroporto J. F. Kennedy è uno dei meno belli che Frank abbia mai visto; l’arrivo è stato raccontato in un articolo precedente, la partenza è un fatto di ore fa. Partiti dal college in perfetto orario, secondo la tabella di marcia data dalla società che gestisce la vacanza- studio alla St. John’s University, la ciurma è arrivata a destinazione dopo circa 30 minuti. Al check in, un operatore romano gentilissimo ha “pilotato” tutta l’ operazione cosicché, in meno di 30 minuti, tutti erano stati checkati e pronti ad avviarsi al controlli di polizia e bagagli a mano …ma qui la sorpresa è stata devastante: una coda- biscione persone [ tra le 500 e le 700), tutte in fila, a snodarsi lungo un percorso stabilito, interrotto o cambiato a seconda della volontà di addetti [ tantissimi] che decidevano, in modo del tutto causale, le sorti di chi si fosse trovato, suo malgrado, in questo girone dantesco. Eravamo tutti ” appiccicati”, tutti col respiro in comune, soffocati da un puzzo di ascelle sudate e di respiri ” alla comida sudamericana”. Tutti abbiamo dovuto riempire 2 contenitori di plastica, medio- grandi: in uno i devices elettronici, nell’altro bagaglio a mano e tutti gli oggetti che stavano nelle tasche o addosso alla persona ( come orecchini, anelli, etc..) ; la richiesta “a sorpresa” è stata che tutti si dovessero togliere le scarpe, per poi passare nello scanner. Se confrontassimo queste procedure lente, primitive, poco igieniche con quele moderne di Malpensa 1, rimarremo sbalorditi per velocità, gentilezza, professionalità e igiene di quella della grande città lombarda. Non c’è storia, pensa Frank. La zona “duty free shop e relax” e l’ offerta più che easy di cibi e bevande, ancora una volta, vede Milano battere NY 10 a 4: strutturato in modo antiquato, con pochissime Marche di qualità e fast food da sopravvivenza, non regge il confronto: vuoi mettere con la ristorazione a Malpensa, anche la più economica, del Terminal 1?. L’unico luogo degno di menzione, anche se il gusto dell’ arredo tradisce un paradigma diverso rispetto a quello descritto negli articoli della “Milanesa”, è il Turkish Airlines Lounge. Ma qui i passeggeri ITA non sono ammessi, purtroppo.

Comunque, le ore passano, lentamente, molto lentamente ma passano. Finalmente, al’ ora stabilita, inizia l’imbarco: si comincia col fare pa fila, con sufficiente ordine. Un momento, però…si guardano attorno e…gli altri passeggeri in coda non hanno niente di italiano, men che meno di milanese. E in effetti, stanno facendo la coda al gate 5, tra un kiosco turco ed uno americano, che imbarca per … Belgrado. Hanno cambiato gate, ma non tutti se ne sono accorti, compresi ciurma e capo comitiva che, dopo un fulmineo controllo, si rende conto del’ accaduto e…tutti di corsa al gate 7. Solite procedure, solite manovre per il posto a sedere, lo spazio up per il bagaglio a mano ( Frank ha scambiato il suo posto con Vittoria, perché non vuole stare in mezzo alla ciurma che, giustamente, parla in continuazione, ride e dice ” raga e amo”. Ora siede vicino a Elisa: la rassicura, non la disturberá, non invaderá la sua confort zone… insomma saranno discreti l’uno con l’altra. Elisa, rassicurata, si mette comoda). Arriva la cena: niente di ché ( pollo un pó duro, verdure un pó troppo cotte, dolce un po troppo dolce, panino immangiabile -sembrava una cicca calda; solo il formaggio a fettine e i cracker erano gradevoli). Finito di cenare, si abbassano i finestrini, si spengono le luci e i rumori si attutiscono. Accanto a sé, Elisa, indossato il cappellino, si assopisce silenziosa. Frank cerca di vedere un film: impossibile. I film sono vecchi, o già visti, per lo più; gli altri non piacciono a Frank ma, a parte queste mancanze, l’audio è pessimo, con un ritorno più forte del suono. Dopo circa 6 ore, arriva l’annuncio, in un inglese scolastico, del comandante: si stanno avvicinando a casa, il tempo è buono e, a breve, sarà servita la colazione, che consiste solo in una merendina pre- confezionata, di quele da supermercato discount. Niente caffè e niente tè. A questo punto, Frank chiede spiegazioni, anche per la mancata distribuzione di cuscini e coperte per la notte. Una bella hostess sulla 40ina, gli spiega che hanno avuto grandi problemi con il catering. Speriamo sia così, che sia un malaugurato incidente, perché a quella ALITALIA in crisi non si sia sostituita con un’ altra azienda, chiamata ITA, anch’ essa in crisi. Per onestà intellettuale, bisogna dire che il volo è durato 7 ore circa, ed è stato molto buono, compreso l’ atterraggio e la puntualità ampiamente rispettata.

Home sweet home, Milano: tragitto breve, qualche confusione con le 3 file per il controllo passaporti ( ci sono 3 file: una per i cittadini UE, uno per cittadini extraeuropei e una per gli italiani… ma gli italiani non sono forse cittadini europei? E infatti le file 1 e 3 a un certo punto si mischiano. Lunghezza media per il “tempo coda”, superveloce quella del controllo elettronico dei passaporti, infine attesa per ritiro dei bagagli. Ebbene, come era accaduto per le svampite di Bryant Park, qui le svampite e gli svampiti sono la quasi totalità. Si dice che Antonio si sia messo davanti al rullo bagagli numero 7; si dice che la ciurma lo abbia seguito. All’arrivo di Frank, che aveva visto altri passeggeri del volo già andarsene coi propri bagagli, nasce un sospetto … mica …mica che i bagagli stanno girando su un altro,rullo…?”. È cosi: rullo 10. Frank non ha parole.

Pochi metri e sono fuori dal tunnel uscite : i genitori sono li, quasi tutti. Baci e abbracci, un sacco di abbracci e baci fra i componenti della ciurma; Frank stringe le mani ai genitori presenti e ringrazia, per la fiducia accordata e le parole gentili che gli riservano. È proprio finita, per quest’ anno. Il momento della ” consegna children” è quello che piace di piú ed entusiasma Frank. Saluta tutti, proprio tutti, compreso il fratellino di Viola, che vince il premio originalità: la sua famiglia ha preparato un cartellone di benvenuto bellissimo. Mentre si avvia all’ uscita, un ultimo saluto per tutti e un avviso…arrivederci al prossimo anno con mete incredibili, come il Canada, il sud Africa, le Hawaii, Los Angeles, Miami, Dubai..see you soon!

Pausa caffè: 2 parte.

Frank riprende il racconto : il soggetto è sempre la troupe. In questo momento, é comodamente seduto sul terrazzo panoramico al sesto piano della bellissima costruzione- museo, chiamata “MOMA”. È ” in missione” con Angela, e i suoi – di lei- children. Frank coi suoi, ovviamente: le ” bande di disperati “shop addicted” stanno girando dappertutto nell’ edificio, dispersi chissà dove – qui almeno non possono comperare le opere d’ arte esposte, pensa il Capo, ma qualche c*****a riusciranno certamentea trovarla nei due negozi dedicati alla vendita, uno sotto e uno difronte al museo ( bellissimi pure questi) . Super rilassato, mentre asaggia i suoi adorati scones ( ne va matto,) pensa alle poche ore che ormai lo separano dal volo di ritorno. Angela, sua compagna d’avventura in questa NY d’agosto, si sarà persa anche lei in qualche sala: Angela è un lady- teacher per nulla ingombrante: rispetta la comfort -zone di Frank, non è invasiva da nessun punto di vista, le piace raccontarsi e ama il mare, il mare di Pescara, dove vive, con una bella famiglia allargata. È sportiva, le piace lo yoga [ Frank non ricorda esattamente il tipo di joga che pratica], cammina, anche per lunghi tratti, senza lamentarsi, parla spagnolo, con forte accento sudamericano, va in motorino a scuola, è caduta, perché era in ritardo per andare a scuola [ e si è procurata una frattura scomposta], ha una vera ossessione per le scarpe sportive e per regalare mutande di “Victoria Secret” alla figlia. Angela è golosissima, soprattutto di dolcetti, dolcini, dolciumi, di tutte le paste, colori e ripieni; però, non disdegna neppure la carne, le patatine fritte e tanti altri cibi dal ” bollino rosso”. S’abbuffa e poi si pente, come i bimbi; non è logica nella sua nutrizione, ma questo a Frank piace. Ieri, ad esempio, sono andati in una bakery ed hanno preso due ” panini dolci francesi”: al primo morso, lei ha trovato la pasta troppo secca. E che ha fatto? ( era seccata perché non le avevano dato burro e marmellata da spalmare)…ha riempito mezzo bicchierino da caffè di miele, che poi ha spalmato sul pane. Frank, da gentiluomo, l’ ha imitata. Ad occhio e croce, avranno ingerito le calorie e gli zuccheri di 2 prime colazioni alla francese. Dunque, in estrema sintesi, la cifra che la contraddistingue è che appare sempre incasinata, un pó una pentola a pressione, sebbene poi mostri tolleranza, spirito di sopportazione e ha il pregio di cercare di convincersi che si può sempre trovare la soluzione a un problema… peccato che- poi- fa diventare le soluzioni 2, o 3…o10, sfoggiando uno spirito di creatività repressa che spiazza gli altri. Orbene, semmai Frank dovesse incontrarla, somewhere nei soggiorni – studio, non se ne dispiacerebbe.

I suoi children sono un insieme eterogeneo di città, accenti e regioni: i boys sono solo due, diversissimi tra loro. Tommaso, napoletano, alto, atletico, con un piede oltre il 46, “sportivamente sciupafemmine”, tutto proiettato al successo, al futuro, ” al si può e si deve fare” , ma perennemente in ritardo ad ogni appuntamento; Matthias , l’altro boy, è più piccolo, per età, peso, altezza: non sta mai zitto, a meno che abbia combinato qualcosa o sia arrabbiato; parla con fortissimo accento pescarese, incomprensibile il più delle volte; ironico, ha sempre la battuta pronta, pungente, spesso azzeccata, a volte “hard” ; è gentile, nel suo incasinarsi con le parole, o con le braccia, che agita per rendere il suo discorso più significativo; non lascia stare nessuno, soprattutto le girls, in particolare una, che maltratta e da cui è maltrattato. “Pesce pilota di Tommaso”, è sempre in ritardo, come il Napoletano; ha un modo strano di tenere il collo, pesantemente orientato verso il basso, forse perché sta troppo tempo “appiccicato” allo schermo del telefonino; scherza con i dialetti, ma quello del nord non gli riesce benissimo, o meglio, sembra un montanaro bergamasco o un contadino padano. E poi ci sono le Angela’s girls: Frank le conosce poco, alcune per nulla. Le uniche su cui può dire qualcosa sono Margherita, la cui simpatia abbiamo già sottolineato e tra i due c’è “feeling”; e poi c’è Veronica, sicula d’origine, milanese d’adozione: ha confidato a Frank una sua storia d’ adolescente innamorata. E stata tenera e Frank, dall’alto della sua età privilegiata, che è sinonimo di saggezza e giudizio, l’ ha consigliata, cercando di non pontificare, ma solo aiutarla a meglio comprendere il suo momento speciale ( che tutti gli ” anta” rivivono nella mente e nel cuore con nostalgia, perché vorrebbero riprovare -loro-quelle emozioni che ora incasinano la dolce Veronica). Cara Veronica, ascolta Frank: goditelo tutto questo momento di “montagne russe” perché, negli anni, arriverà la calma piatta. E sarà una noia mortale.

Il gruppo piace a Frank ed è piaciuto molto anche ai suoi students: questo feeling ha perció aiutato tutti durante le escursioni, o i momenti di socializzazione. Chissà che mantengano i contatti fra loro, chissà che gli uni vadano a visitare la “Padania” e gli altri le regioni da cui provengono gli Angela’ children. Chissà.

( regalo per Tommaso : ” nelle mie sfide è il mio successo”

Pausa caffè [ 1 parte]

E ora Frank si prende una pausa e racconta della ciurma, dell’ Angela groups e delle situazioni, gossips etc che li hanno visti protagonisti, a volte loro malgrado.

iniziamo dalla ciurma, ormai un ” gruppo” affiatatisimo e tenero, agli occhi di Frank. Ognuno di loro gli ha fatto intravedere una parte di quel mondo che, a scuola, non si riesce o può, per mille ragioni, avvicinare. Le più loquaci sono le girls, alcune loquacissime, a prescindere: grazie a loro, grazie a Martina, Viola e Aurora, ha ascoltato racconti di diete ( intesa nel senso più scientifico del termine: rispetto del proprio corpo edi ciò che gli fa bene), di trattamenti ” rigenerativi” per i capelli, di creme per il viso che garantiscono una pelle da bambola giapponese, di metodi, percorsi, protocolli disciplinari per essere ( non solo apparire) più belle. Frank ascolta sempre estasiato perché, pur capendo la metà di quello che dicono, gli è chiaro che, per loro sono topics” seri, non racconti da ragazzine superficiali; anche sul cibo hanno dispensato consigli.

La vulgata vuole che Frank, per natura sia un lupo solitario e non ami assembramenti, confusione…insomma tutte quelle situazioni in cui il suo spazio vitale possa venir compromesso da un’ intrusione, fisica o emotiva, tale da influenzare la sua “privatissima confort zone” : ad esempio, a scuola, non si ferma mai in sala professori, ma ci passa solo, per prendere o mettere qualcosa nel suo cassetto; preferisce, di gran lunga, stare in “aula studio”, sempre seduto al medesimo posto, che è SUO ( tutti lo sanno, nessuno lo occupa e, se qualche nuovo-a arrivato-a si accomoda laggiù, seconda fila, ultima postazione, con ironia Frank glielo “comunica”. Risultato: non vi si mettono più. Immaginate dunque come possa sentirsi a proprio agio in riunioni, collegi e simili, soprattutto tra simili (colleghi).Immaginatelo ora alla riunione informativa, tenuta all’ Università St. John, qui a New York, con decine di colleghe e una manciata di colleghi: esattamente come voi avete immaginato…mentre prova panico!. Per necessità, durante la riunione, è intervenuto qualche volta,solo per sottolineare come alcune comunicazioni non fossero chiarissime, o sufficientemente dettagliate. Da “true born Englishman” qual è, alza sempre la mano, non parla mentre parlano altri e non interrompe chi sta gestendo il momento comunicativo [al campus i manager dedicati ai gruppi sono tutti …. donne); invece, le altre ladies – leaders lo fanno, spesso generando, se non irritazione, almeno fasidio in Frank, che – peraltro- continua a tenere la mano alzata; la sua irritazione monta e sale fino al viso, che lascia trasparire tutto ciò che, per educazione, bisognerebbe essere capaci di celare. Girandosi a guardare il resto della platea ( lui siede tra i primi banchi, come i secchioni, o i primi della classe), incontra lo sguardo di un ragazzo che lo guarda e sorride, che parla con una signora accanto a lui, e a cui- infine- fa cenno di osservare Frank: l’ estraneo ha capito ha capito che la sua “irritazione” si è trasformata in giudizio sulla comunità educante ( come dice la pedagogia del ” volemose bene”). Guarda di nuovo Frank e gli sorride da complice, come per condividere quel giudizio; ora anche la signora risponde allo sguardo di Frank, che ricambia, e sorridendo, sembra dire :… ” ho capito, abbiamo capito…ma “ke ce voi fa?..”. A sua volta, Frank sorride, come a ringraziare per quella condivisione ” di malessere professionale “.

Passano i primi giorni e a Frank capita di incontrare la ” signora in rosso” ( per via dei capelli) e il giovane che le stava accanto nella riunione ” condominiale” con gli altri teachers; però, c’è qualcosa che “non quadra” …il Boss non sa dire esattamente cosa non quadri, ma percepisce qualcosa di strano. Passa ancora qualche giorno, quando, mentre Frank sta percorrendo un vialetto che lo porterà alla “Grande Sala Mensa”, vede la signora in rosso con il ” ragazzo del sorriso complice” ; con sua grande sorpresa, questa volta i “ragazzi sorriso ” sono 2; la situazione si fa interessante. Frank si domanda… ” ma chi sarà “la signora in rosso “? forse una manager? una persona importante? O …forse soltanto la mamma di due ragazzi ventenni che l’ accompagnano in questa avventura newyorchese. E infatti, la mamma -Mariella -( la signora in rosso) è una simpatica collega di Rieti, mentre i ” body guards” sono i suoi due figli, Edoardo e Ludovico, qui per aiutare mamma e per esercitare l’ inglese. Ebbene, ora Frank ha chiaro cosa lo confondesse e cosa non sapesse spiegarsi ogni qual volta vedeva [ bisogna specificare che “le visioni” avvenivano sempre da lontano] la collega con il “figlio soridente” ? Proprio il fatto che i figli fossero 2 e non 1! : visti da lontano, non Frank non si accorgeva che avessero colori e specifici connotati fisici differenti; in realtà, oservandoli bene, Edoardo e Ludovico hanno una ” fratellanza” evidente. Poi, una pomeriggio, viene programmata un’ uscita comune con le rispettive ciurme: cosi, Angela, Frank e Mariella con i due “body guards” hanno modo di cenare insieme; Frank verrà a sapere che i due ” marcantoni ” sono studenti universitari, che Edoardo concluderà, il prossimo anno, il suo corso di architettura, e che Ludovico sta frequentando il corso di laurea in Scienze Motorie; entrambi vivono a Milano, a “casa loro” , sebbene Edoardo abbia vissuto a Piacenza per i primi due anni di corso: Marinella ( la mamma), insegnante come Frank e come suo marito, ha idee molto chiare su come vorrebbe si realizzasse il futuro dei suoi due ragazzi…” devono studiare al nord …devono cercare possibili alternative all’ Italia, anche all’ estero, devono costruirsi un percorso solido che permetta loro di cogliere ogni opportunità anche- e magari soprattutto- fuori dall’ Italia…”, spiega. È una mamma sensata, riflette Frank: anche lui, da qualche anno è convinto che il futuro per i “nostri giovani” sia quello di sentirsi per lo meno cittadini d’ Europa, se non del mondo. A scuola l’ Ulisse lodigiano, da tempo, suggerisce, sprona, spinge i suoi students ad informarsi circa le possibilità incredibili che li aspettano, se si abituano a non pensare solo in piccolo, da provinciali, con i paraocchi; ha anche chiesto loro di seguire un bellissimo podcast del “Sole 24 Ore” che, nel titolo, contiene già il programma dichiarato: ” Generazione Mobile”. Ma torniamo ai due ” giovani milanesi d’ adozione” : raccontano che fanno sport fin da bimbi, perché il loro papà, insegnante di motoria ( un tempo educazione fisica- a Frank piace molto di più la vecchia definizione perché implica un’ educazione [ testa, cuore e fisico], che risulta sbiadita o accessoria nella dicitura “motoria”) li ha iniziati al nuoto,al tennis, alla pallacanestro,allo sci…il loro non è stato solo un percorso amatoriale, anche se intenso, ma da semi-professionisti. Causa Covid, si sono dovuti fermare e poi l’ Università coi suoi impegni, li ha costretti a rimodularsi: perciò, Edoardo ha provato a frequentare con costanza la palestra, perché gli permetteva di combinare l’ attività fisica con la libertà di gestirsi autonomamente il tempo ( lezioni- studio e cazzegio per sé). Ragazzo appassionato e serio, ha deciso che la sua nuova passione sportiva potesse trasformarsi in qualcosa di più strutturato, come il body- building e di accettare le sfide di questo sport, dai più mal compreso; Edoardo raccomta che da tempo, con un coach, sta preparando una gara- competizione, che si terrà al termine delle vacanze estive. Anche Ludovico ha un fisico molto ben costruito e attrezzato al suo presente da specialistica della disciplina ” educazione motoria Ma del fisico mio” : tutte le volte che Frank lo ha visto ( quasi sempre in mensa) ha il piatto / i piatti pieni di panini e ” altro”- sicuramente avrà calcolato la quantità e qualità precisa di proteine, carboidrati, zuccheri…etc. A cena, Edoardo ha raccontato che, nel loro appartamento, hanno compiti condivisi chiari : Ludovico pensa al ” cibo”, nell’ accezione più completa del temine ( dalla prepararazione alla messa in tavola), mentre Edoardo cura la pulizia dei locali ( Ludovico confessa che si sono divisi così i compiti perché a Edo non piace come Ludo fa le pulizie …” non è capace …” comenta ironico). Osservandoli bene, le loro personalità distinte diventano più trasparenti per Frank : più ” furbetto” Ludovico, si piace e sa di piacere, ci gioca con intelligenza, mentre il suo anno a Milano ha sensibilmente fortificato in lui questa caratteristica già tutta sua. E sa come trattare con le persone, e come usare strategie sempre diverse per i diversi approcci, anche in famiglia; ha candidamente raccontato che riesce a usare “la tattica Ludo” anche in famiglia, col papà, che – ad esempio- gli ha lasciato il suo telefonino perché il bimbo lo aveva rotto … e… persino la sua carta di credito. Edoardo, invece, parla e si muove da ragazzo serio e sensato, scrupoloso e pignolo; quando sorride, conferma l’immagine di bravo ragazzo, di ragazzo per bene, e della tipologia “fidanzato fedele alla fidanzata ufficiale” ; quando – invece- Ludovico sorride , muovendo gli occhietti azzurro- grigi assai furbetti- sembra dire …” anch’io sono fedele…a tutte le fidanzate che ho, perché non ne trascuro nessuna, e c’è posto per tutte”; narciso dichiarato ( anche se non a parole) si è comperato uno zaino ( bellissimo) e un paio di pantaloncini ( con carta di credito di papà) , pensando al colpo che avrebbe fatto andando a lezione in università ( gli altri non rosicheranno). Due bravi e simpatici atleti, insomma: mamma Mariella ha tutte le ragioni per sentirsi orgogliosa. ( note a margine: una studentessa del gruppo Angela- Frank, folgorata dalla bellezza di Edoardo, ha confidato al Boss che …” assomiglia all’ attore Michele Morrone- che Frank non conosce- attore, gli è stato spiegato, da interpretazioni hot [ e bravo Edoardo!] ; Ludovico invece non ha saputo resistere : ha indossato i pantaloncini nero verdi che voleva sfoggiare in palestra, a Milano. Ovviamente, tutti gli hanno detto che stava benissimo, che le sue gambe muscolose risaltavano etc etc etc…- come conseguenza, Ludovico si è alzato di 5 cm da terra e il petto si è gonfiato, come un pavone).

Un weekend da dimenticare ( 2 parte)

…ci eravamo lasciati a down town, nel quartiere finanziario; ci ritroviamo ora a Battery Park, un altro parco pubblico, a sud di Manhattan, che deve sempre essere punto di riferimento per ogni escursione turistica che si abbia in mente. Il nome viene dalla batteria di cannoni che difendeva il porto [ allora olandese…vi ricordate che ne abbiamo parlato?…della città] . Al suo interno, c’è ancora un forte del XIX secolo, chiamato “Castle Clinton”, ora museo nazionale. Non lo abbiamo visitato e vedremo perché. La ciurma è lì per prendere il Traghetto per vedere da vicino la “Statua della Libertà” e Ellis Island: ora, bisogna sapere che, ogni giorno, dopo le lezioni, e dopo la mensa, le varie ciurme vanno in escursione, con gli helpers dedicati ( per il loro gruppo, e quello di Angela from Pescara, c’è Joshua). Di sabato e domenica però, stanno ” fuori college” dalle 12.00 alle 22.00: una prova di sopravvivenza non da poco. Dunque, sabato scorso, gita sociale per la statua della libertà. Tempo di percorrenza dall’estremo nord est, all’ estremo sud metropolitano: 1. 30- circa. Poi coda, lunghissima, come in aeroporto, perché la società che ha in gestione i ferry boats ( Statue Cruises), procede ai medesimi controlli di polizia sui passeggeri, e sul loro bagaglio. Tempo impiegato per essere sul ferry: 1.00 circa ( e siamo a 2.30 circa ). Percorrenza traghetto, attracco e sbarco : circa 30-40 minuti ( e siamo a 3) . L’ isolotto è orrendo, secondo Frank, NON visitatelo, a meno che sia ottobre o novembre ( quando ci sono pochi turisti, ed è quindi più sopportabile); la Statua della Libertà non merita tutto questo sforzo, non vale la pena vederla da vicino, né di salirci; prendete piuttosto i battelli veloci che fanno il giro della baia, la vedrete da lontano, avrete un buon ricordo e ci avrete perso solo 1 ora. Finalmente, quando la ciurma ha concluso la propria “perlustrazione” ( 1 h e siamo alle 4.00) di pomeriggio, si rifà la coda per tornare sulla “terra ferma”. E sono passate le 6.00. Ci sarebbe ora in programma la visita a “Union Square” [ chiamata cosi, perché nasce dall’incontro della Broadway, con la 4th Avenue ] – a Frank interessa solo perche vicino alle location che piacciono a lui [ Flat Iron District, Chelsea e il Greenwich Village), ma l’ organizzazione del college manda un messaggio che dice ( più o meno): ” …causa tafferugli avvenuti la sera precedente, si consiglia di saltare quella location…”. Skippano la square e vanno a cena, poi- stravolti- alle 22.00 circa, sono in college. Frank pensa che, quando tornerà con nuove ciurme, chiederà che non si visiti più né la Statua, né Ellis Island, altro isolotto, in parte artificiale, che si trova proprio alla foce del fiume Hudson, nella baia di N.Y. Qui, dal 1892 al 1924, c’era una stazione per il controllo dell’entrata degli immigrati negli USA – sono transitati circa 12 milioni di immigrati, su quest’ isola di proprietà dello stato federale-; ora, la parte nord, dove si trova l’ edificio principale, é occupata dal “museo dell’ emigrazione”. Dal 1924, fu anche un centro di detenzione, sempre per immigrati; mentre, durante la 1 e 2 guerra mondiale, il ministero federale della difesa lo usò come prigione militare. A poco a poco, dagli anni ’50, quando venne chiuso, e fino al 1976, fu abbandonato a sé stesso; solo dagli anni ’80, e fino al 1990, si procedette con un vero e proprio ” restauro conservativo”.

Solo peggio del tempo perso per la visita a questa island, c’è quello perso per un’ altra bruttura, “Staten Island”: uno dei 5 quartieri della città di New York, insieme al Bronx e al Queens, dove sono Frank e la sua banda, Manhattan e Brooklyn ( sappiate che, da qui, parte la maratona di NY! ). L’isola è collegata a Manhattan da una linea di ferries ed è vicina a quella di Long Island; il ponte di Verrazzano [ in inglese Verrazzano Narrows Bridge] la unisce a Brooklyn- che si trova all’ estremità occidentale di Long Island- che confina con il Queens, ” casa della ciurma”. Qui – a Staten Island- c’è una forte comunità italiana, che si è ingrandita, a mano a mano che “Little Italy” veniva lasciata all’ espansione della comunità di “China Town”. L’ isola vanta la maggior percentuale di aree verdi di N.Y. anche se, a dire la verità, ” sulla sua superficie “si estendeva” la più grande discarica del mondo [ Fresh Kills Landfill], in cui vennero depositati circa 2 milioni di tonnellate di detriti provenienti da Ground Zero; le autorità la chiusero nel 2002, per costruirci il parco pubblico più grande del mondo, dedicato alla memoria di chi visse e subì l’ 11 settembre 2001.

Siccome non c’è due senza tre, Frank racconterà anche la terza isola da NON VISITARE: Coney Island. Anche questa è una penisola, situato nella zona sud del distretto di Brooklyn [ ma è lontana le mille miglia rispetto alla zona nord]. È famosa per le spiagge [ dimenticatele] e i suoi luna park [ chiudete gli occhi, una volta là]. Il toponimo deriva dall ‘ olandese, che significa coniglio [ ai tempi della colonia olandese, l’ isola era ” infestata” da questi animaletti. E qui, non sappiamo se un bene o un male, hanno inventato ” l’ hot dog”; ancora, qui fu aperto il primo luna park della storia, da cui deriva l’utilizzo che ne facciamo nel linguaggio comune. C’è anche una connessione con la mafia italiana perché, sempre qui, il 15 aprile del 1931, venne ucciso un potente boss [ J. Masseria], per volere di lucky Luciano. Infine, a causa della grande depressione del ’32 ( seguita a un devastabte incendio, molti lasciarono la zona, che subì un forte degrado, mai conclusosi, in verità. Provare per credere.

Frank non può non chiudere citando un’ altra Island, insignificante per la crescita culturale dei più: “Little Island” . In realtà è un parco- isola artificiale, si trova al porto, Pier 55, sul fiume Hudson, a ovest di Manhattan, adiacente ad un altro parco,” l’ Hudson River Park” [ che si estende dalla 59 strada sud di Battery Park ] , che è il secondo parco più grande in Manhatta, dopo Central Park. La sua < sola> fortuna è di trovarsi altrettanto vicino ai quartieri di Meatpacking ( district) e Chelsea, due zone che a Frank piacciono molto.

Dunque, per riassumere, il week end da paura, si chiude con la ciurma su un vagone della metropolitana che li porterà dall’ estremo sud di Brooklyn (!), fino nel Queens, percorrendo una distanza pari a quella tra Milano e Sestri levante, o Milano e Lugano (!!). Frank spera di aver convinto i suoi lettori a NON andarci mai.

Un week end da dimenticare ( 1 parte)

Giorni fa, la troupe lodigiana si è recata a far visita al “9/11 Memorial” e al Financial District. È giusto sapere che la gestione di questo ” spazio ricordo” degli attentati dell’11 settembre 2001 è afidata alla ” National September 11 Memorial and Museum Foundation” , organizzazione no- profit, che si avvale della collaborazione di decine e decine di volontari; il monumento si trova laddove c’erano le Torri Gemelle, ora conosciuto con il nome di “Ground Zero”, dopo la tragedia del “World Trade Centre”- 10 anni dopo l’ opera è stata completata con un museo, di grande impatto emotivo (inaugurato nel 2014) . Purtroppo , quando “la troupe” è arrivata, ha scoperto che, proprio quel giorno (01/08), il museo era chiuso ; tuttavia, i children non si sono persi d’ animo perché, per loro, il vero monumento alla modernità, che devono “visitare” a ogni ora del giorno è “Starbucks”, tempio e museo del bar- caffetteria dei tempi moderni (quello di Milano, in Piazza Cordusio, è bellissimo e fa il tutto esaurito ogni giorno). Qui, americani e non consumano litri di caffè, latte e sostanze liquide (iced) dai nomi e colori più vari e irreali; naturalmente, sono tutte bevande dolci o dolcissime,con apporti calorici da spaventare qualsiasi diabetologo. Chiuso il museo, la ciurma ha cercato lo Starbucks più vicino- come prevedibile- e hanno consumato il rito americano più cool (vedi tutti i film e telefilm americani in cui c’è sempre qualcuno che gira con in mano un bicchiere di carta, chiuso, che si sorseggia andando per strada o nella subway). Grazie a Dio, per Frank, c’ è altro da vedere : difronte a Ground Zero, c’è infatti una bellissima costruzione, chiamata “Oculus” – inaugurato nel 2016- , disegnata dall’ architetto spagnolo S. Calatrava; è una costruzione tutta bianca, enorme, con grandi vetrate, al interno della quale, si snoda un dedalo di cunicoli ( ampi, illuminati a giorno), perché qui si trovano il “World Trade Centre Transportation Hub” e il “Westfield Shops Mall” ( i bimbi si sono aventurati tra negozi- generalmente articoli di lusso, costosissimi- e … toilette pulite e comode). Il nome, come ben sappiamo noi italiani, viene dal latino e significa occhio: il riferimento è alla struttura, che ricorda infatti un occhio aperto, con “lo sguardo” rivolto verso il cielo. Tutti insieme, la ciurma è poi risalita verso il Financial District, cioè il cuore finanziario della ” Grande Mela”, nell’ area Seaport ( in quella stessa area la ciurma prenderà il battello per andare a “incontrare” la “Statua della Libertà”, e vivere la prima parte del” maledetto weekend” del 5/6 Agosto). Tecnicamente, la location summenzionata si definisce come Financial District di Lower Manhattan, detto in gergo “FiDi”; Frank ha voluto che la ciurma sapesse che, proprio da qui, tutta l’ avventura della città di N.Y. cominciasse nel 1614, quando si fondava la prima colonia europea di quell’ insediamento chiamato “New Amsterdam”, realizzato e gestito dalla “Dutch West India Company”, al tempo considerato “territorio olandese d’oltre mare”. Solo nel 1664, gli inglesi ( i conterranei di Frank) conquistarono New Amsterdam e la ribattezzato New York, in onore al duca di York, il futuro Giacomo II di d’Inghilterra. Qui, come tutti sanno, per via delle frequenti riprese televisive e i collegamenti quando si parla di tassi d’ interesse, quotazioni etc., c’è la sede della Borsa, la “New York Stock Exchange” e della “Federal Riserve Bank of New York”. Se passate di qua, vedrete, come hanno visto i children, molta gente che è in coda davanti alle posteriora di un toro: …questi americani…, penserete e…invece, ( senza sorpresa) sono quasi tutti non-americani, molti dei quali ( senza sorprese) italiani. Il ” Toro di Wall Street” è un’ imponente scultura – installata nel 1989- in bronzo, dell’ artista A. Di Modica ( 1941-2021, italiano- siciliano ma naturalizzato statunitense), collocata nel piccolissimo spazio verde ( loro lo chiamano pomposamente Park) di Bowling Green. La prima particolarità di quest’ opera è che è stata interamente pagata dall’ artista; la seconda è che Di Modica non chiese nessuna autorizzazione preventiva…un pó come si fa in Italia con gli abusi edilizi; la terza è che, sebbene l’ autore intendesse simboleggiare la potenza, la forza, il potere e la speranza del popolo americano per li futuro, in realtà tutti pensavano che richiamasse, per esorcizzarlo, il crack finanziario del 1987. Come già detto, sebbene non fosse stato richiesto alcun permesso, la statua non è mai stata rimossa, anche se ora viene letta in modo totalmente positivo, cioè come simbolo del capitalismo Americano e della fortuna- necessaria e sperata- per tutti coloro che puntano in borsa. Ma…non abbiamo ancora detto cosa ci facciano tante persone dietro il gigantesco ” di dietro” del toro: farsi fotografare davanti alla statua ovviamente ( in molte civiltà il ” di dietro” indica fortuna); non basta però a alcuni intrepidi dell’ attesa: la magia, che può nascere dal e grazie al toro, sta infatti nei suoi attributi, che devono essere massaggiati, come nella favola di Aladino.) Qualche student massaggia…hai visto mai? ).

Abbiamo parlato di Starbucks e del sentimento d’amore che lega gli students a questo tempio dello zucchero dannoso, delle calorie killer, dell’ ingrasso assicurato; studiando la ciurma, Frank si è accorto che i 3 boys sono – sicuramente- i più addicted. Andrea, Diego e Antonio condividono lo stesso appartamento e la stessa passione per la caffetteria locale; sono tre fagioloni, uno studente al liceo, l’altro a ragioneria e il terzo è stato ” maturato”, a luglio. Tre personalità diverse, ma in un certo senso affini: il più esuberante è certamente Antonio, che è intrigato dai look, vuole fare la Marangoni, famosa università della moda di Milano, vuole diventare stilista, si addormenterebbe ovunque, in un nano secondo, anche sulla tazza del water, e appena può fuma quelle finte sigarette che Frank odia; spesso é preso da schizofrenia ossessivo- compulsiva, non controlla la postura, ma si fa ben volere da tutti; il più timido è Diego. Sembra uscito da un film del passato: gli manca il codino e un vestito adeguato per essere un giovanotto del 700 veneziano ( vedi Goldoni, il teatro veneziano e i cicisbei). Anche lui fuma appena può e Frank lo allontana perché si sente soffocare; porta scarpe che, se non glielo avesse spiegato, il Boss penserebbe siano ortopediche, pesanti, con una suola di 5 centimetri, quasi uno stivale tagliato alla caviglia. Frank non può fare a meno di pensare al tasso di inquinamento che c’è nell’aria, ogniqualvolta si toglie queste “cose” scomodissime, che Diego si ostina a chiamare scarpe ( in un famoso film, che ha come protagonista la creatura ” generata” dal dott. Frankenstein, il personaggio indossa esattamente quegli anfibi). E poi c’è il più fagiolone dei tre: Andrea. Timido e delicato, buono ed educato ha fatto amicizia con tutti nel gruppo lodigiano e in quello di Pescara, che condivide le avventure della ciurma. Ha i capelli cortissimi, che lo fanno sembrare ancora più bimbo ( ha fatto vedere a Frank le foto con cappello lungo e capello medio : sembrano3 Andrea diversi); porta gli occhiali da miope, che rendono il viso, come per tutti i miopi con occhiali, simile a quello di un trudi, un peluche. Porta bandane inguardabili ma, da quando ha conosciuto Antonio, sta più attento al look; così, qualche giorno fa ha sfoggiato un paio di pantaloni azzurri che hanno avuto un riscontro ” da applauso” da parte di tutto il gruppo. E anche Frank ha approvato.

Di ciurme e confronti ( terza ed ultima puntata)

Frank lo sa bene, ogni ciurma lascia un segno: le bimbe e i bimbi che le compongono non sono mai solo numeri, come a scuola, del resto. Sono stati tanti, ma proprio tanti in questi anni gli students e gli accompagnatori che sono partiti col Boss, così come tanto è cambiato da quegli anni ’90, da quando cioè Frank è approdato a quella che lui chiama : ” casa Gandini “. I primi anni, oltre agli students, ad ogni vacanza studio c’era un bimbo rosso di capelli, una vera peste, suo nipote Nicola; in England ma soprattutto in Scotland lo prendevano per uno di loro, giocava con loro e, sebbene il suo inglese fosse quello di un principiante, tra loro si capivano e divertivano [ ecco l’importanza di educarli alle lingue fin da piccoli: i bimbi sono come spugne, assorbono tutto, in particolare la pronuncia e la prosodia della lingua]. Più tardi si è aggiunta anche la sorella di Nick, Valeria e, insieme, sono stati in varie località U.K o U.S.A., crescendo coi gli alunni di Frank. E poi, quanti aiutanti lo hanno affiancato!: colleghi, amici o amici dei nipoti o ex alunni; per ognuno di loro ha un ricordo, un racconto, una storia cosí, quando si incontrano, ritornano con i ricordi al passato – anche remoto- come fosse presente e sanno che condividono un tratto di un puzzle comune. E quanti ancora ha visto crescere e diventare adulti, molti dei quali ora sono padri e madri a loro volta: generazioni di viaggiatori che hanno fatto almeno un esperienza con Frank e che sono diventati parte di una comunità cresciuta anche grazie a queste opportunità che i genitori offrono ai loro children. Non c’è infatti modo migliore per crescere che viaggiare, incontrarsi e scontrarsi con altre culture, paesi, tradizioni, per capire a quale ssi appartiene veramente o a quale ti piacerebbe appartenere, o per aver chiaro che “nessuna cultura altra” è perfetta e che possiamo prendere il meglio, per formarci, da ciascuna di loro. Ecco, a tutto questo ha pensato Frank ogniqualvolta ha preso il pullman per gli aeroporti milanesi, con partenza dalla Coop, una tradizione che si è persa solo con l’ arrivo del Covid e lo smaltimento del supermercato, che ha cambiato sede.

Quest’anno è stato solo un nuovo inizio, una ripresa: come già Frank ha scritto, molto è cambiato ( non poteva essere diversamente), ma il senso e le motivazioni rimangono le stesse, al di là di voler ” provare la lingua dal vero “. È infatti una sfida per genitori e students: gli uni devono lasciarli liberi di sperimentare la loro autonomia, gli altri devono capire che il loro è un privilegio, un momento di indipendenza e responsabilità che sarà un tassello in un lungo processo di crescita. Così Frank spera che la vecchia tradizione della Coop- oggi torre Zucchetti- torni ad avere per lui, gli students a venire e le famiglie lo stesso significato e valore che in passato: quei saluti, quele urla, quei genitori un poco tesi e preoccupati alla partenza e – di nuovo- quelle urla, abbracci e baci, quelle conversazioni post viaggio, lì nel parcheggio della Coop, tornino ad essere un appuntamento da festeggiare, come il Natale, così da lasciarsi – con questo semplice e minuscolo ” rito di passaggio”- definitivamente alle spalle gli anni pesanti della pandemia.

Gli students di Edimburgo per Frank hanno perciò anche rappresentato il simbolo della necessità di una ripresa della normalità.